Di pizza, di salute...

impasto con li.co.li. di manuel carbone

Si è sviluppato forte interesse, nei giorni scorsi, intorno alla “focaccia di san giorgio”… In effetti, l’uso di farine semintegrali macinate a pietra, di pre-impasti a lenta azione (crescente, biga, poolish...), di ottimo olio extravergine, confermano o inaugurano un “Rinascimento” di cui l’arte bianca italiana avverte il bisogno.
Leggevo peraltro dentro un vecchio numero di Viaggi e sapori (il decluttering da quarantena ha via via svuotato i miei scaffali di centinaia di riviste food…) che “La pizza riduce il rischio di tumori dell’apparato digerente. Secondo i risultati di uno studio pubblicato dall’”International Journal fo Cancer” (organo ufficiale dell’UICC), un regolare consumo di pizza è stato associato a un ridotto rischio di tumori dell’apparato digerente nella popolazione italiana. (…) Rimane ancora da chiarire, tuttavia, quale sia l’elemento protettivo, se il consumo di pizza di per sé, o la dieta mediterranea di cui questa preparazione fa parte. La dieta mediterranea, infatti, è in grado di prevenire dal 10 al 25% dei comuni tumori nei Paesi occidentali industrializzati”.
Chissà che ne pensa Paola Minale... Direi, amici lettori, che tuttavia potete già formarvi un’opinione: farine "integre" di grani non violentati dalla mutagenesi, le proprietà nutraceutiche dell’extravergine, il licopene dei pomodori, il made in italy agroalimentare…
Ma ritorno ora alla constatazione iniziale: l’interesse intorno alla “focaccia di san giorgio” rivela fors'anche il desiderio di cucinare (e d’impastare) a casa, di tornare a ritualità conviviali, piccole grandi cose, privilegiando le filiere locali, il cibo-buonessere, la materia prima di cui si conosce l’origine… Speriamo che la tragedia del coronavirus, quantomeno, induca anche un ripensamento degli attuali modelli di (cosiddetto) sviluppo.  
Scrivevo (dicembre 2018) nell’ultimo mio libro, sul turismo esperienziale ed enogastronomico: “Fra l’altro, le antinomie (che riguardarono in primis l’Italia) connesse alla brusca transizione da una cultura agro-pastorale ad una industriale, con conseguenti emigrazioni dalle campagne alle città, sino alla recente terziarizzazione economica, hanno causato profonde “ferite” che inducono istanze di “fuga” dal vissuto presente, di rimpianto verso una realtà “altra”, percepita - consciamente inconsciamente - come più autentica e meno alienata. Dal greco Esiodo sino al latino Orazio ed al filosofo Rousseau quest’idea “illuminata” percorre un lungo cammino, l’uomo come figlio della natura e non suo rivale. Ecco quindi riaffiorare, non senza misoneismi, il senso ancestrale della casa, i ritmi rallentati, l’immediatezza dei rapporti umani, il lavoro che crea beni tangibili, l’odore e il calore della famiglia, i cibi naturali… Tutto ciò in aperta antitesi ai consumi fast, allo spaesamento, all’eccesso di fittizio, alla tecnologia invasiva, alla durezza dell’individualismo, dentro una moltitudine dove l’uomo è usato e spersonalizzato”.
Transitiamo così, ora, verso note più liete: il web, a saperlo usare, oggi rende disponibili un’immensa quantità di documenti, immagini, e videofilmati. Tutto questo materiale ci può rendere consumatori più informati, competenti, etici, in grado d’individuare produttori, mulini, frantoi, caseifici... Il web come primo sorvolo di “buone prassi” legate ai temi di cui sopra.
Ma naturalmente fatemi conoscere i vostri buoni indirizzi, diamo vita ad un flour-crossing, non è solo questione di sapori, bensì ormai di sopravvivenza.

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