A tavola per San Giovanni Battista
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aglio, immancabile alla festa di san giovanni... (Photo by Anshu A on Unsplash) |
“La notte di San Giovanni destina
il mosto, i matrimoni, il grano e il granturco” sintetizza un detto popolare,
ecco le uve, l’unione d’amore, le risorse alimentari.
In origine Giovanni, figura
ascetica ed usa alla contrizione, prefigura più d’altri l’avvento del regno dei
cieli, il tempo nel quale gli empi verranno puniti. E’ Battista in quanto con
l’acqua battezza, ed infatti lo incontriamo nei battisteri (chi non lo conosca
visiti anzitutto quello di Castiglione Olona affrescato nel XV secolo da
Masolino da Panicale) e nei fonti. La sua opera di battezzatore fece
addirittura ritenere a qualcuno che Giovanni, risorto dopo la decapitazione
(eternata dal capolavoro di Caravaggio), fosse Gesù. Egli, a prescindere da
ogni altra ipotesi, è elogiato come “lume ardente e illuminante” (Giov. V, 35),
ed è tramite per quell’iniziazione la quale schiude il percorso dell’uomo verso la
divinità, la benevolenza e la lealtà (“San Giovanni non vuole inganni”, a
Firenze come a Milano…). Ecco anche l’ancestrale rapporto del comparatico
(donde in Sicilia “cumpare” e “cummare”) grazie al quale i più abbienti
assistevano i propri simili bisognosi.
Il 24 giugno, già presente non a
caso nei distici elegiaci dei Fasti
di Ovidio e molti secoli dopo in Shakespeare, è da sempre notte di fuochi e di
veglie, di segni e prodigi, che nel paganesimo solare omaggiavano il solstizio
d’estate. Roma antica cucinava le lumache poiché ogni locandiere ritiene le
corna simboliche, e se gli uomini se ne cibano ogni acredine si risolve. Sono
usi agricoli (celtici) trasversali, come intuirebbe qualsiasi antropologo, per depurare
l’anima e favorire il futuro, i raccolti, la guarigione, l’igiene anzitutto
interiore, là dove il bene allontana il buio, le belve, le piogge dannose, le
streghe che insistentemente, com’è loro natura, tentano l’uscio (se rami
d’olivo, sale e scope non lo difendono).
Ecco poi gli alberi della
cuccagna (coquere, Cocania, kuchen…), i fantocci, le danze
liberatorie, cui nei villaggi non rinunciavano neppure le donne ormai anziane e
non proprio seducenti. Il famoso "mazzo di San Giovanni", composto ad esempio da
iperico (antidepressivo e sedante), verbena (ansiolitico ed antinfiammatorio),
artemisia (antispasmodica) ecc., faceva miracoli contro ogni calamità e malessere.
Ma quel giorno le fanciulle scoprivano anche e soprattutto il proprio avvenire
sentimentale, dato che dai fuochi si cavava un tizzone ardente, e quanto più fosse
durato…
Anche la città di Genova
intrattiene con San Giovanni un rapporto sentitissimo, la Cattedrale di San Lorenzo custodisce
alcune sue reliquie dal 1099 (successive alla 1^ crociata, https://it.wikipedia.org/wiki/Cappella_di_San_Giovanni_Battista_(Genova)),
lo eleva a patrono della città nel 1327 anche per il suo influsso protettivo
sulle navigazioni… Nei giorni precedenti la sua festa numerosi monelli scorrazzavano
in giro impetrando elemosine, da investire in mongolfiere di carta munite di
lumini, o anche – purtroppo - in petardi che regolarmente esplodevano, quanto
mai sgraditi, fra le gambe delle donne a passeggio.
A tavola ricorrevano sovente il preböggiön, le lumache in umido, e piatti
davvero agliati, dato che (e non solo in Liguria) “chi non prende aglio a San
Giovanni è povero tutti gli anni”… Buon appetito, dunque, magari diminuendo un
po’ l’aglio dato che i più delicati gusti contemporanei temono certe
“brutalità” del passato
Umberto Curti, direttore
scientifico di “Genova World”
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