Ambiente e biodiversità



La Giornata mondiale dell'ambiente (World Environment Day) fu proclamata nel 1972 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, e si celebra – dal 1974 - il 5 giugno.
Quest’anno è dedicata al disastroso declino della biodiversità sul pianeta, si quantificano difatti in circa un milione le specie (su circa 8,7 milioni) a rischio estinzione. In tale contesto, molti ecosistemi e filiere vengono ormai messi in pericolo, alimenti, legno, acqua…, con conseguenti ripercussioni sulla nostra sicurezza alimentare, il nostro benessere, la nostra prosperità quotidiana… Che sarà dell’uomo? Tout se tient, ha peraltro appena rivelato il coronavirus che ci ha costretti in quarantena. L’inquinamento, i cambiamenti climatici, l’abusivismo edilizio, l’erosione dei suoli, il dissesto idrogeologico, gli incendi…sono indizi di un rispetto per la natura che viene continuamente posposto al profitto e alla insostenibilità.
Per chi come me si occupi di turismo, di enogastronomia, di produzioni locali, di cultivar, e abbia letto quantomeno Zygmunt Bauman e dintorni, l’allarme è suonato da tempo, tanto più cogente quanto più il tema del viaggiare s’intreccia continuamente, ed in profondità, con quel che sui territori si coltiva, si pesca, si produce, si compravende, si cucina... Poco più d’un anno fa, non a caso, dedicai proprio al turismo green (ecologico, non impattante, etico, soft, responsabile…) uno dei capitoli più centrali, da p. 19 a p. 33, del mio “Libro bianco del turismo esperienziale. Prospettiva (in Liguria) per territori, cultura, imprese” (ed. Sabatelli, Savona, a questo link). 
Scrivevo che
“Gli ultimi 100 anni, tuttavia, hanno cancellato nel mondo il 75% dell’agro–biodiversità cui l’umanità era giunta domesticando le piante e gli animali nei 15 millenni precedenti (di fatto, dall'esordio dell'attività agricola). Con tale, spaventoso ritmo, a metà del XXII secolo non resterebbero che macerie. Si badi inoltre che, nel mondo, circa un terzo di tutto il cibo prodotto finisce, perfettamente edibile, nella spazzatura. Si consideri che, secondo il Club di Roma (think-tank internazionale sullo sviluppo sostenibile, fondato 50 anni or sono da Aurelio Peccei), inquinamento e consumo di una persona ricca superano fino a 50 volte quelli di perone più svantaggiate (il 10% più ricco del mondo genera il 45% delle emissioni complessive di gas serra). Si sèguita a produrre tecnologia dalla durata effimera, con materia prima impegnativa dal punto di vista della sostenibilità, impiegando manodopera talora semi-schiavizzata, privilegiando componentistica non riparabile né riciclabile. Ogni anno finiscono in mare dalle 4 alle 12 tonnellate di plastica, dove fra l’altro restano impigliate decine di migliaia di balene (cfr. "World Energy", n. 40, ott. 2018, pp. 17 e 45). 24 milioni di container rimangono del tutto inutilizzati… Le aziende e le istituzioni stentano nella transizione dall’economia lineare (che usa risorsa esaurendola) a quella circolare (che la “recupera”), che connette sistemi diversi concependo sinergie. Numerosi Paesi, fra cui non a caso la Svizzera, stanno ormai promuovendo offerte disintossicanti, de-tech, nelle quali l’ospite vive esperienze – per non dire fughe - di “controvita”, di “isolamento” e di “lentezza” al riparo dall’invadenza tecnologica e dal “data smog” che affumica gli smartphone. Quantomeno per la durata di alcuni giorni, dunque, less is more”.
Buon 5 giugno a tutti.
Umberto Curti, direttore scientifico di “Genova World


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