Cibi: il futuro è anche memoria
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cibo: antichi riti verso il futuro |
Amico
lettore se ne gradisci una sintesi, eccomi a te al link http://www.liguriafood.it/2020/01/10/focaccia-ligure-la-regina-dello-street-food/.
Negli
anni, in definitiva, si è trattato di una piccola grande battaglia vòlta – da
un lato - a sensibilizzare lettori e gourmet, e – dall’altro – a valutare quali
spazi potessero esservi, realisticamente, in direzione via via d’un marchio IGP.
La
focaccia genovese/ligure, peraltro, come tutti gli antichi impasti non ha
segreti: buona materia prima (personalmente intendo niente strutti né sanse) e
pazienza, necessitando di ripetuti riposi in fase di lievitazione (in realtà,
lo scrivo per gli addetti ai lavori, la lievitazione è solo la fase finale di
un processo ben più ampio e complesso, F = M + L).
Tutti dovrebbero poi
ricordare che nacque e s’affermò in epoche nelle quali di Louis Pasteur non
v’era ancora traccia neppur nei "propositi" futuri dei genitori.
Alcuni panificatori dell’associazione
provinciale di Genova (presumo siano circa 1 ogni 2 forni) anni fa si
riconobbero in un marchio, il cui “protocollo” esplicita una ricetta con uso di
farina ‘00’ (con proteine per una forza solitamente 180-230W) e dunque rinforzata,
solitamente al 20% e solitamente da Manitoba.
Vi furono altre iniziative, se
ricordo bene condotte di concerto con l’ex Provincia di Genova, dove si
raccomandavano larghe teglie di rame stagnato (anziché le classiche “lamme” di
alluminio 40x60), spessori inferiori ai 2cm, e almeno 8 ore di lievitazione, ma
meglio 10. Facoltativa, prima d’infornare, anche una spruzzata di vino bianco
secco (Vermentini o Bianchette delle DOC Val Polcevera o Tigullio), per un
prezzo al consumatore di circa 14mila lire al chilo. L’avvio aggregò – solo? - 8
panificatori, dunque non so se quel progetto poté mai compiutamente estendersi…
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la Focaccia di San Giorgio |
La “Focaccia di San Giorgio” dell’associazione culturale Genova World origina da premesse differenti e differenti scopi si prefigge. In primis l’impasto, per il quale il Socio Manuel Carbone - che non a caso ama definirsi artigiano dei lievitati... - utilizza una semintegrale ‘1’ di eccelsa qualità, da grani piemontesi, macinata a pietra, 280W di forza. La lavorazione si compie grazie al li.co.li., un preimpasto in consistenza cremosa (non mi ri-dilungherò qui sui benefici del “metodo indiretto” * ), il sale è integrale, e la sostanza grassa solo ed esclusivamente olio extravergine (per favore non “deliriamo” circa i – peraltro magnifici - DOP Riviera Ligure, nessun’attività commerciale potrebbe permettersi quei costi).
Quanto al condimento, che ebbi io
il privilegio d’ideare, come ormai noto esso omaggia tutte le 4 province
liguri, con un ingrediente in cottura (le patate dell’alta val Bormida,
affettate sottilissime ed asciugate), e gli altri fuori (olive taggiasche,
acciughe di Monterosso, prescinsêua e origano del Genovesato).
Il riuscito bilanciamento
fra sapori (la dolcezza delle patate, l’amaro delle olive nere, la sapidità
delle acciughe, l’acidità della prescinsêua, l’aromaticità dell’origano) rende
questa “Focaccia” molto intrigante, la radica sul territorio regionale, e la
fidanza coi vini bianchi delle DOC Val Polcevera e Tigullio-Portofino, per un
abbinamento enologico che racconta terroir.
Lo straordinario interesse che il
progetto ha suscitato presso diversi e qualificati interlocutori (Comune di
Genova, Coldiretti, Latte Tigullio, alcuni Ambasciatori di Genova nel mondo sparsi fra Regno Unito e Argentina…) ci lusinga, e induce a dispiegarlo verso
ulteriori contesti, perché la “Focaccia di San Giorgio” sia un nuovo strumento
con cui promuovere ed internazionalizzare i brand Genova e Liguria, il nostro
genius loci, la salubre alimentazione mediterranea, la ruralità sapiente…
Come sempre, poi, e con piacere, l’associazione
si dichiara disponibile a fornire la ricetta sia a tutti gli appassionati e sia –
previa la firma di un semplice protocollo senza oneri – a tutti quei
ristoranti, sciamadde, panifici, pizzerie, agriturismi, foodtrucks, enoteche che
desiderassero proporla ai loro clienti, come appetizer, antipasto, o addirittura piatto unico.
Umberto Curti, direttore
scientifico di Genova World
* non me ne vogliano tutti coloro che mi leggono con una certa assiduità, ma nella mia visione quei 4 amici che si chiamano pasta di riporto, poolish, biga, e pasta madre sono il futuro dell’arte bianca di qualità (si rassegnino gli
scettici e i meno preparati), perché il futuro poggia ora più che mai sulla
memoria, la quale – in questo caso - conferisce ai prodotti da forno una digeribilità,
fragranza, consistenza e conservabilità che nessuna panificazione veloce potrà
mai eguagliare. Dio vegli dunque sul nostro buonessere, sulle filiere brevi, sui
prodotti certificati, sull’agricoltura biologica, sulla pesca sostenibile...
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