Monterosso patria di acciughe

acciughe marinate

Era novembre, ma sulla Riviera di levante splendeva un sole quasi accecante. Trenitalia eseguì il proprio dovere e l’Intercity – dove sedevano alcuni trekkers italiani e stranieri - mi consegnò alla stazione di Monterosso in perfetto orario. Scesi alcuni gradini e la natura divenne cinemascope e mi riservò una poltrona in prima fila: a ponente il promontorio “letterario” di Punta Mesco, ad oriente i nidi di case color pastello aggrappate alla roccia. Vernazza, Corniglia, Manarola, Riomaggiore. M’avvicinai al centro paese mentre il pensiero si prefigurava i terrazzamenti a vigneto, i profili scoscesi della collina, ed in basso le barche sorvegliate da gatti magnifici, i veri proprietari del luogo, sornioni e sonnacchiosi. Ovunque, in ogni direzione, il verde ed il blu si mescolavano ai tenui cromatismi delle abitazioni.
Quel giorno era sabato, me la prendevo comoda, fra carruggi ombrosi e ripide scalinate, tanto che sostai – accendendo una candela - nei luoghi della devozione popolare: la parrocchiale trecentesca con bella facciata bicroma e San Francesco, templi cristiani ricchi di quadrerie e colmi di suggestioni antiche. Verso la spiaggia un circolo ricreativo mi rinviò le voci di alcuni anziani che giocavano a carte, da lontano mi parve fosse una briscola a coppie ma potrei sbagliare. Qui e là, beninteso, mi regalai un po’ di shopping goloso, Monterosso è terra di acciughe squisite (quelle che trionfano sulla “Focaccia di San Giorgio”), di limoni squillanti come "le trombe d'oro della solarità", d’olio extravergine da cultivar diverse rispetto al ponente, e di quei vini che piacquero già a Francesco Petrarca e a Giovanni Boccaccio. La DOC locale arretra al 1973 (la seconda in Liguria dopo il Rossese di Dolceacqua), regalando un bianco perfetto per la mes-ciùa spezzina di farro e legumi, per le fritturine, per le preparazioni al verde, ed agli intenditori riserva lo Sciacchetrà, shekar, un passito cui abbinare per esempio il meraviglioso pandolce basso genovese, o la spungata di Sarzana (e della via Francigena).

Monterosso - Photo by Duminda Perera on Unsplash

Continuai a girellare, il paesaggio restituiva ad ogni passo odori e tradizioni. Nel silenzio, certe architetture trasmettono un senso di equilibrio semplice e pur solenne, ordinato connubio fra la mano dell’uomo e le creazioni degli dèi. Avessi avuto più tempo sarei salito sino al santuario di Soviore, forse il più antico della Liguria (VII secolo?), che – lo so - dall’alto domina gli orizzonti e “dialoga” in lontananza con quello di Montenero (VIII secolo) presso Riomaggiore. Lassù festeggiano una golosa torta di riso rossa.
Fra le enoteche accoglienti e le botteghe di delikatessen fece capolino un basso carretto stracarico d’uve minuscole, da cui s’irradiava un profumo pungente. Ma proseguii, il tempo mi volava via. Qualche albergo elegante dirimpetto al mare era aperto, e sulla spiaggia una ragazza giocava col suo pastore tedesco, ogni volta il cane le riportava affettuoso un legnetto, la luce e l’arenile erano così profondi che a tratti la coppia pareva più vicina, a tratti lontana. Comprai una coppetta di gelato fiordilatte e pistacchio mentre già s’accendevano i lampioni, novembre accorcia sempre i pomeriggi, ma laggiù ad est i borghi diventavano già presepi natalizi, quieti approdi dove forse il tempo scorre più lieve che altrove.
In stazione annunciarono infine il treno per Milano che mi avrebbe ricondotto a Brignole, e salutai Monterosso. Forse, a dirla coi poeti, il varco che conduce alla bellezza è talvolta a portata di mano, l’anello può cedere anche nei giorni meno consueti, passeggiando nei luoghi della magia a braccetto delle persone che amiamo (e a braccetto di noi stessi), purché con gli occhi aperti.
Umberto Curti, direttore scientifico di “Genova World

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