OUTFOOD, Superba per cibi e cultura


Mi hanno sempre appassionato – e molto mi hanno sempre insegnato - i musei di cultura materiale.

Vi sono attrezzi e oggetti – del coltivare, dell’allevare, del vendemmiare, del cucinare… - i quali raccontano quotidianità che altrimenti stenteremmo a ricostruire, i quali testimoniano artigianati ch’erano tutt’uno con le società e le economie del loro tempo…

Il mio percorso di storico dell’alimentazione, che giocoforza incrocia tematiche dell’antropologia, e sovente della ruralità, mi ha costantemente condotto fra mortai per spezie, frutta secca e salse (non solo il pesto), fiscoli per spremere l’olio dalle drupe, stampi per incidere croxetti, teglie da faïnotti sciamadde törtâe…

Manufatti che scrissero – e talora Deogratias che perpetuano - pagine di storia. Hanno dignità di risorsa culturale? Appartengono al patrimonio cosiddetto heritage? Io credo non solo di sì, ma persino che la domanda non andrebbe neppur più posta. Tutti oggi parlano, o straparlano, di turismo esperienziale, di storyliving (io ne parlo più di rado ma 2 anni fa lo analizzai per filo e per segno nelle 260 pagine dell’ultimo mio libro…), dunque – implicitamente – si allude ormai ad un ospite interessato al genius loci, ai molti aspetti della vita delle popolazioni locali, un visitatore di musei ma anche di caseifici e mulini. Di vetrerie e seterie. Come potrebbero dunque riuscirgli “estranei” i mortai dove nasce un’aggiadda o un marò, o i fiscoli da cui un tempo colava quel mosto che, come i muretti a secco, cifra di sé le nostre riviere green, o gli stampi per disegnare sui croxetti lo stemma di famiglia, e magari le iniziale di due sposi, o le teglie dove s’arroventa, oggi come ieri, quell’aurea farinata che aveva nome scribilita?

Io cerco di rivendicare per questi oggetti un ruolo narrativo che sinora hanno recitato solo episodicamente, quasi dovendo “contendere” lo spazio ai beni storico-artistici più tradizionalmente posizionati nell’immaginario collettivo (e negli interessi degli addetti ai lavori). Questi oggetti – e qui il pensiero corre a Jacques Le Goff ed altri - parlano di noi (non solo delle nostre cucine), evocano suggestivamente quel che siamo e quel che siamo stati, e talvolta – occorre farsene una ragione - il futuro poggia sulla memoria, così come – per converso - tante sciagure del nostro tempo originano dalla superficialità con cui sovente trattiamo il passato.

L’associazione culturale “Genova World” sta collaborando – e vista la sua composizione e le sue finalità ci si stupirebbe del contrario… - col Comune di Genova proponendo alcune iniziative fra cui proprio l’ “abbinamento” coerente di alcuni oggetti della storia gastronomica locale ad alcune sedi culturali, onde girare alcuni video in italiano e inglese. Si tratterà (stay tuned, amico lettore!) di Outfood. Superba per cibi e cultura. Gli oggetti del cibo nei luoghi della cultura, un progetto che contamina saperi, mixa accadimenti, crea una serie di diadi oggetto gastronomico/museo al fine di raccontare, ma con taglio innovativo, luoghi e diacronie della Superba, e concorrere quindi alla sua promozione presso bacini di domanda turistica consapevoli, curiosi, affascinati da ciò che in una città si è costruito, dipinto, scritto, ma anche prodotto, commerciato, cucinato…

Esattamente l’incoming, mi vien proprio da dire, di cui destinazioni come Genova hanno più, e presto, bisogno.

Umberto Curti, direttore scientifico di Genova World 

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