Klee (e Arbocò) “dentro il porto di Genova”…

P. Klee, Immagine di porto (acquerello, 1918)

Monaco, Bayerische Staatsgemäldesammlungen Staatsgalerie moderner Kunst. L'immagine, tratta dal web ove molto presenzia, è stata reputata di pubblico dominio. Qualora l'uso violasse un diritto si prega di segnalarlo, così da rimuoverla 



L’associazione culturale Genova World ringrazia la Fondazione Novaro, nella persona dell’Arch. Maria Novaro, per la gentile disponibilità concessa all’utilizzo delle immagini della Riviera Ligure, e il bibliotecario della fondazione medesima, Diego Russo, che è stato di prezioso aiuto per raccogliere "introvabili" informazioni sulla vita e l’attività di Salvatore Ernesto Arbocò. 


Tra i numerosi artisti di rilievo internazionale che, passando fugacemente da Genova ai primi del ‘900, ne rimasero intensamente colpiti, figura niente meno che Ernst Paul Klee (Münchenbuchsee, 18 dicembre 1879 – Muralto, 29 giugno 1940), musicista, poeta, naturalista e filosofo ma, soprattutto, esponente di spicco dell’astrattismo: spesso a cavallo fra le diverse declinazioni di questa straordinaria e prolifica corrente espressiva dei primi del XX secolo, di cui fu e resta, insieme al carissimo amico Kandinskji, fra i maggiori esponenti.

“Come un sogno Genova si sprofonda nel mare”, scriveva andandosene via sulla rotta verso Livorno, ma “alle 3,40 pomeridiane del 24 ottobre 1901 partenza per Genova”[1] aveva scritto fin dalla sua prima partenza verso la città l’artista nel Diario italiano, sezione dei Tagebücher[2] interamente dedicata alla penisola, viaggiata con l’amico scultore bernese Hermannn Haller fra ottobre 1901 e maggio 1902.
“Arrivo a Genova di notte. Il mare al chiaro di luna. In camera entra un’aria magnifica. Atmosfera severa. (…) Per la prima volta il mare di notte, visto da un’altura. Il porto imponente, i giganteschi piroscafi, gli emigranti e i lavoratori del porto… La grande città meridionale”: parole, talmente cariche di poesia e di significato per noi abitanti della Superba, che non necessitano di alcun commento, per non infrangerne l’incanto.
Confessava poi, sempre rapito: “Del mare avevo un’idea approssimativa, non però della vita in un porto”. Un porto di cui, dopo aver descritto gli attrezzi, le voci e i movimenti, restituiva acutamente l’impronta cosmopolita: “Clima insolito. Piroscafi da Liverpool, Marsiglia, Brema, la Spagna, la Grecia, l’America. Rispetto per la grandezza del globo terrestre. Centinaia di vapori accanto ad innumerevoli vaporetti, velieri, rimorchiatori. E gli uomini, poi?” [3]
E gli uomini, poi…, ecco un altro momento di tensione emozionale, meritevole di non esser sezionato da alcun commento, ma unicamente compreso: nella sferica globalità dello specchio acqueo, di cui annota da profano, ma non senza incuriosita attenzione, la fondamentale diversità tra imbarcazioni a motore, a vela e rimorchi, cogliendola a colpo d’occhio, coi tempi di un direttore di orchestra svizzero.
Non diversamente, e in modo quasi sincronico, il giornalista, fotografo e incisore genovese Salvatore Ernesto Arbocò (1863-1922), pressoché contemporaneo del pittore.
Arbocò non è ad es. su wikipedia ma, a dispetto di ciò, fra il 1899 e il 1900 collaborò con la serie degli Acquarelli liguri e delle Impressioni, dedicate a diversi scorci della costa ligure affiancate da fotoincisioni tratte dalle sue fotografie, a La Riviera Ligure [4], rivista voluta e ideata da Mario Novaro a compendio culturale dell’azienda di famiglia di cui divenne titolare (produzione dell’Olio Sasso). Arbocò, in un articolo denominato “Sensazioni Marine. Nel Porto di Genova”, circa lo scalo afferma che vi si riversa una “energia continua ed insaziabile” poiché a causa della “sua bocca aperta dai lunghissimi moli, entrano ed escono senza interruzione i piroscafi enormi, portando da tutte le più remote coste, i sentori di altri oceani, di altri popoli, di altre terre” laddove, si ravvisano: “scambi continui, con energia di vita senza riposo, come le onde del mare ed il moto dell’universo[5].

S.E. Arbocò - Senzazioni Marine. Nel Porto di Genova su:

La Riviera Ligure, ottobre 1900 (anno 6., nuova serie, n. 25), p. 244

(courtesy Fondazione Novaro)


L’articolo uscì esattamente un anno prima, ottobre del 1900, convalidando ante litteram, se mai ce ne fosse stato bisogno, la verità delle impressioni kleeiane, circa un porto ben differente da quelli più quieti della Riviera o da altri dell’Adriatico.
Salvatore Ernesto Arbocò, dedito fin da giovane al giornalismo e specializzato, come si può ravvisare da scorci di questo articolo, in un genere descrittivo-folkloristico non privo di excursus economici, già membro del «Cenacolo di Sturla» con Plinio Nomellini,[6] Edoardo de Albertis, e Giuseppe Sacheri, collaborò a numerosi periodici, non solo liguri.
Tra il 1882 e il 1885, ad esempio, collaborò in Roma a La domenica letteraria e nel 1884, nella medesima città, fondò Il Messaggero illustrato, per poi tornare definitivamente nella città natale, dove collaborò dal 1894 alla redazione de L’Elettrico[7], del Caffaro e del Secolo XIX.
Ma, per tornare a Klee, divertita e vivace è anche la descrizione dell’ambiente umano e sonoro, un quadro variegato ma dettagliato: Le figure più strane, col fez. Qui sugli argini, emigranti, italiani del Sud, accoccolati al sole (come lumache), gesticolare da scimmie, madri con lattanti al petto, i bambini più grandicelli che giocano e si bisticciano”.
Un quadro squisitamente popolare e non privo di incuriositi riferimenti gastronomici: “Un vivandiere si fa largo con un recipiente fumante di «frutti di mare». Colpisce l’odore d’olio e di fumo. Donde proviene?” E noi che siamo “di casa” non possiamo non pensare alle tipiche e frequentatissime friggitorie di Sottoripa (il montaliano “paese di ferrame e alberature”): friggitorie calde e fumanti di olio e di pesce, sciamadde che piacquero anche ad un altro noto giornalista, Giovanni Ansaldo…
Caratteristica è inoltre la descrizione dell’ambiente lavorativo e umano, portuali, pescatori, e attrezzi come le conchiglie dei bivalvi, attrezzi che il pittore non aveva mai disdegnato di utilizzare, perfino nel suo studio, come utili accessori nella pratica pittorica:
“Poi gli scaricatori di carbone, belle figure robuste, il torso nudo, agili e veloci, col carico in groppa (in testa un fazzoletto, a riparo dei capelli), sulla lunga passerella su al magazzino, per la pesatura. Poi, liberi, per un’altra passerella su al piroscafo, dove è pronta un’altra cesta piena. Così in incessante giro, uomini abbronzati dal sole, neri di carbone, rudi, sprezzanti. Lì un pescatore. L’acqua schifosa non può contenere nulla di buono. Non pesca nulla, e neppure gli altri. Gli arnesi: una corda, con un sasso attaccato, una zampa di gallina, un mollusco. Sugli argini case e magazzini. Un mondo a sé. Noi semplici oziosi. Eppure fatichiamo, almeno con le gambe”.
Ma, come non bastasse, quasi ad anticipatoria conferma di queste parole emozionate, il medesimo Arbocò non manca di evidenziare il “battere continuo, sonante, che mette la febbre a tutti quegli uomini sudanti, neri di caligine, che picchiano, simmetricamente, tenacemente, come non dovessero fermarsi mai più.”

                                                                S.E. Arbocò - Senzazioni Marine. Nel Porto di Genova su:

La Riviera Ligure, ottobre 1900 (anno 6., nuova serie, n. 25), p. 245

(courtesy Fondazione Novaro)


In entrambi i casi dunque si parla di uomini anneriti dal duro lavoro: da qui, l’accalorato senso di umanità del precedente interrogativo kleeiano…“E gli uomini, poi?”
Passa quindi, il pittore, a delineare le architetture ma, a differenza di Rubens che passando per la città aveva immortalato nelle celeberrime incisioni (Anversa 1622) i seicenteschi Palazzi nobiliari di quella che era al secolo la Strada Nuova ed ora via Garibaldi, Klee è attratto dall’architettura medievale limitrofa al porto, quella “maleodorante” di uso popolare, caratterizzata dai panni stesi, e visualizzata come la quinta di un autentico teatro umano, non privo di impliciti riferimenti al mondo della marineria in quei “panni che sventolano come bandiere” o in quelle “cordicelle tese da una finestra a quella di fronte” che sembrano quasi alludere alle veloci scotte di una barca a vela quando interrompano i “riflessi metallici del mare:
"Case alte, fino a tredici piani, vie strettissime nella città vecchia, fresche e maleodoranti, di sera una fitta folla, durante il giorno quasi solo bambini. I loro panni sventolano come bandiere di una città in festa. Cordicelle tese da una finestra a quella di fronte. Durante la giornata sole pungente in quelle viuzze, riflessi metallici del mare, dovunque una luce abbagliante. Con tutto questo, le note di un organetto, un mestiere pittoresco. Attorno bambini che ballano. Il teatro nella realtà.” [8]
Parole che paiono uscite, non fosse per l’anacronismo, da una canzone di Fabrizio De André: giusto per dar l’idea dell’intensità di questo passaggio in città di un artista della poesia e della visione che era nel contempo musicista e che, nel prosieguo del viaggio italiano, avrebbe continuato a rimpiangere la nostra città fatta di mare, di chiaro di luna…e di sogno.
Effettivamente Klee, che come premesso non aveva intrapreso da solo il viaggio ma insieme ad Haller, decideva di partire per Napoli, via Livorno-Pisa-Roma, pur affermando che “L’idea di una settimana a Genova sarebbe stata allettante.” In effetti egli non aveva nessuna fretta di raggiungere Roma ma poiché l’amico scultore insisteva a procedere “con metodo” egli, metodicamente, vi si adeguava: “Dunque, lunedì comincia lo studio del Rinascimento: le cose vanno fatte con ordine.”
Ma mai, per tutta la durata del soggiorno romano l’artista avrebbe provato emozioni analoghe a quelle genovesi, d’una città che egli riuscì a cogliere, istintivamente, nell’interezza di una verità concreta e, nel contempo, poetica. A tal riguardo, il testo di riferimento sugli stretti "rapporti" tra Genova e gli svizzeri è opera di Umberto Curti, nostro Direttore, e leggibile a questo link
Già andandosene via verso Livorno, stranamente - come quando vi era entrato - ancora di notte, sul piroscafo Klee annotava commosso: “Il viaggio per mare è stato un avvenimento. Come andava gradatamente sparendo lontano, la grande Genova notturna, disseminata di luci, assorbita dal chiaro di luna, così come un sogno trapassa in un altro! Eravamo partiti alle dieci a bordo del «Gottardo». Siamo rimasti in coperta fino a mezzanotte”.[9] Ed aggiungeva: “Come un sogno Genova si sprofonda nel mare. Sono morto per questo mondo, dileguato con l’ultima luce? Oh, fosse così! Sarebbe possibile?”[10]
E, giunto a Roma, considerava a confronto (quasi profetico) che “Roma afferra più lo spirito che i sensi. Genova è città moderna, Roma città storica. Genova è drammatica, Roma è epica. Perciò non si lascia prendere d’assalto.”
Qualche tempo dopo, a Roma si domandava: “Cos’è qui il movimento nelle strade, confrontato con Genova? Sento spesso nostalgia per quella città. Arte ce n’è abbastanza qui, là più vita. Che fosse già primavera! Andrei vicino al mare!”[11]
Anche a Napoli, dove Klee si recò per la Pasqua del 1902,[12] il confronto con Genova pare ormai obbligatorio, e se la città partenopea gli appare “indolente, sudicia, malata; Genova è unilaterale. Il mare di Genova più imponente, ma anche più monotono”.
Ma, nel complesso, ammetteva che “Napoli ha il più grande splendore accanto alla più grande miseria” e ne descriveva, affascinato almeno al pari di quanto lo aveva già affascinato la Superba, le particolari tipicità: “Vita del porto, corso di carrozze, Teatro dell’opera di alto livello…”[13]
Rimaneva invece deluso dal “malcostume” degli abitanti di Amalfi “vinta rivale di Genova”. 

Ma cos’è, in definitiva, ciò è che ci colpisce?
Il fatto che la “moderna” e “drammatica” Superba venga continuamente affiancata, e relazionata, prima alla città eterna e poi a quella più vulcanica e teatrale dell’intera penisola: a conferma della centralità di un luogo di cui, troppo a lungo, si è persa in primis tra i suoi abitanti la consapevolezza dell’importanza Mediterranea… A noi l’onore attuale di restituirle splendore: storico, culturale, poetico, artistico e anche economico perché, fra le linee curve che si incrociano fra la costa e le alture di Genova, si nasconde…il profilo illuminato di un mondo.
Fatto non solo di luci nell’acqua, o di olio che sublima il profumo fumante del pesce, o di torsi umani anneriti e sudati per il lavoro, ma fatto anche dell’eleganza, elevata e nel contempo severa, delle architetture popolari, che ospitano le membra dei suoi abitanti, durante il meritato riposo dai loro faticosi transiti.

Redazione di Genova World



[1] P. Klee - Diari, par. 278 [2]  Tagebücher 1898-1918: titolo in lingua originaria tedesca di ciò che noi traduciamo con Diari 1898-1918 [3] P. Klee - Diari, par. 279 [4] Si hanno scarse notizie di una sua progettata pubblicazione: Visioni di Riviera con illustrazioni proprie. Cfr. aa.VV., La letteratura ligure. Il Novecento, vol. I, Genova, Costa & Nolan 1988, p. 32. [5] S.E. Arbocò - Sensazioni Marine. Nel Porto di Genova su La Riviera Ligure, ottobre 1900 (anno 6., nuova serie, n. 25), p. 245. [6] Dalla Fondazione Novaro, nella persona del bibliotecario Diego Russo apprendo che, su un non meglio precisato numero del Lavoro presumibilmente di inizio secolo XX, vi dovrebbe essere una sua partecipazione alla stesura di un pezzo dal titolo: Un saluto a Plinio Nomellini.[7] Sempre dalla medesima biblioteca, Diego Russo precisa che, su alcuni numeri non datati di "L'elettrico" (ma compresi fra il 1889 e il 1895), vi sono tre suoi pezzi: Il bosco, Capitan Raimondo, La canzone dei capelli[8]   Diari, par. 280 [9]   Diari, par. 283 [10] Diari, par. 285 [11] Diari, par. 308 [12] Diari, par. 389 [13] Diari, par. 389.

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