Arte, musei, biodiversità culturale


Mancano pochi giorni al primo evento del progetto "I mille volti della biodiversità. Natura, architetture, ecosistemi culturali" (GAM di Genova Nervi, 27 maggio dalle 16.30), organizzato dal Comune di Genova in sinergia con l'associazione no profit "Genova World", e col sostegno di COOP Liguria ed Iren. In programma quel giorno Francesca Serrati ("Biodiversità culturale. Il Monte di Portofino attraverso gli occhi degli artisti"), Daniele Buschiazzo ("Sostenibilità, best practice quotidiana") e Umberto Curti ("Viaggi verdi. Biodiversità e diacronie dal Nuovo Mondo all'Europa"). Modererà Luisa Puppo.

Per questo nostro blog, nel frattempo, Umberto Curti intervista gli altri 2 protagonisti della giornata (nel post precedente l'intervista a Daniele Buschiazzo).

 

INTERVISTA A FRANCESCA SERRATI, Responsabile Musei di Genova-Nervi e Villa Croce

D. Gentile Dottoressa, sono lieto attraverso “I mille volti della biodiversità” d’aver fatto la sua conoscenza (“incidentalmente” sono un appassionato d’arte contemporanea, e non da oggi frequento con assiduità le strutture in cui lei opera). Biodiversità culturale… Se fosse chiamata a “tratteggiare” il genius loci di Genova, da quali segni comincerebbe?

R. Considerando il genius loci come l’essenza più profonda di un luogo, un luogo vissuto e colorato dalle sensazioni che trasmette al singolo individuo, il vero spirito di Genova è il porto. Non il mare come in qualunque villaggio di costa, ma un insediamento per gli scambi, uno spazio di transito e di attraversamento, un non luogo per antonomasia. La Genua antica è essenzialmente un emporium, un centro di commerci, favorevole per l’approdo protetto dai venti, su rotte che già nel neolitico, sotto costa, erano utilizzate e battute. Da qua si evolve una città portuale preponderante nel Mediterraneo e la cui storia si snoda tra Repubbliche Marinare, Crociate ed Esplorazioni, per finire all’epoca dei Grandi Transatlantici, su un nucleo unico e immutabile che è il porto.

D. Il suo speech prende in considerazione il Monte di Portofino negli occhi degli artisti. Penso certo a Rubaldo Merello…, ma anche ai muretti a secco e al nostro stile alimentare assurti a “patrimoni UNESCO”… Ed alle parole di Montale, Biamonti, Braudel, Matvejevic… Limoni, uliveti, vigne, parchi e giardini… Quanto pesa il Mediterraneo – mare che unisce e non divide - nei nostri destini?

R. Nonostante le evidenti e, in alcuni casi, drammatiche fratture politiche, culturali e religiose, che determinano una spaccatura sempre più accentuata sull’asse nord-sud, con un nord politicamente stabile e economicamente dominante, penso che persistano forti elementi di unità culturale, che esista un “mondo mediterraneo”. I nostri destini sono indissolubilmente legati al Mediterraneo, il mare di mezzo tra Oriente e Occidente. La nostra stessa dimensione spaziale, come noi ci percepiamo nello spazio e nella storia, è strutturata da questo orizzonte fisico che si apre all’infinito e da questa luminosità abbagliante, caratteristica predominante del nostro approccio visivo al mondo. Tutti gli aspetti naturali del mondo mediterraneo, proprio come sosteneva Fernand Braudel, sono fondamentali strutturatori di senso del nostro stare al mondo e sentirci parte di una comunità.

D. Stiamo lentamente fuoriuscendo da una pandemia tragica, e quanto mai inattesa. Il turismo riprende e va via via domandando offerte sempre più sensoriali, “immersive”, esperienze dirette a contatto con le comunità e biodiversità locali. Va domandando edutainment (il prodesse et delectare oraziano). I musei dell’arte contemporanea come possono giocare al meglio un ruolo di risorsa “ospitale” e formativa?

R. L’arte contemporanea, proprio per essere contemporanea, è la registrazione di quanto avviene nell’immeditato, nell’hic et nunc, un sismografo di particolare sensibilità che costantemente registra le variazioni, anche minime, della realtà che ci circonda. In questo senso si modella velocemente sulle aspettative e sulle sensibilità in continuo divenire del mondo attuale. Non bisogna tuttavia confondere l’”entertainment” con i progetti artistici, anche più immersivi e coinvolgenti; spesso ho sentito dire che l’arte contemporanea è, o dovrebbe essere, “ludica” e “divertente”, ma questo è un concetto assolutamente non corrispondente alla complessità del tema. L’arte contemporanea è molto articolata, tanto quanto il vivere contemporaneo, spesso di difficile lettura se non criptica. Le proposte più immersive e sensoriali nascono non dall’esigenza di semplificare i messaggi che veicolano ma, all’opposto, dalla volontà di utilizzare ogni possibile mezzo espressivo per attivare ogni nostro senso e rivolgersi ad una platea sempre più vasta.

D. Genova, sin dal 1926, è risultata città policentrica, ma non sempre in positivo, e ciò si è riverberato anche sulle sue musealità e sull’incompleta valorizzazione di alcuni asset. Un saggio come Der Kulturinfarkt dimostra peraltro che ciò accade anche altrove. In termini di marketing dei beni culturali, al presente dove individua per Genova il bicchiere mezzo pieno e dove quello (ancora) mezzo vuoto?

R. Come molti altri prima di me, penso che il famoso saggio aderisca bene alla situazione tedesca ma non corrisponda così precisamente alla realtà italiana, dove gli investimenti per la cultura sono sempre stati molto meno significativi. Per quanto riguarda la nostra città mi sembra che il progetto “Rolli” sia stato, e continui ad essere, un esempio di ottima pratica di marketing culturale, alimentando e sostenendo con successo l’interesse dei visitatori, sia gli habitué che i nuovi iniziati, soprattutto sapendosi rinnovare e proponendo nuovi itinerari e situazioni da scoprire. Il successo ritengo che derivi proprio da questo continuo incremento di proposte, che coinvolge certo il Centro Storico ma non solo, sa spingersi oltre, geograficamente e emotivamente, per corrispondere a quella natura stratificata, molto difficile da scoprire in un’unica soluzione anche per gli stessi residenti, che è la vera essenza di Genova. La parte “debole” la individuerei nel contemporaneo: ancora troppe poche opportunità per chi opera in questo campo. Negli anni ’60 Genova aveva una rete di gallerie private di grande qualità, anche se dimensionalmente ridotte ed era nota per essere la “Città dei Teatri”. Penso che sia necessario un rapporto tra pubblico e privato più produttivo, non nel senso della produttività economica, ma per far lievitare le idee e le proposte che, in questo campo, sono molte, ma troppe disperse. Riuscire a connettere tutte le forze in campo sarebbe fondamentale.

D. In questi giorni la Superba vive le proprie elezioni comunali… Diverse visioni si contendono le “redini” dell’immediato avvenire. In base al suo ruolo professionale, ma anche al suo background e al suo sentire personale, quale sarà nei prossimi anni la sfida n° 1 di àmbito culturale che un’amministrazione cittadina dovrà accettare (e vincere)?

R. In parte mi sembra di avere già risposto ma, nello specifico, la sfida principale, dal mio punto di vista, è quella di coinvolgere, come parte operativa non meramente ricevente, le generazioni più giovani, offrendo loro degli spazi non semplicemente come laboratori o studi di artisti, le opere e le mostre sono un punto di arrivo di un artista non il punto di partenza. Penso a luoghi di incontro, diffusi in tutta la città, che si trasformino in spazi di condivisione di problemi e, se possibile, di risoluzioni degli stessi, come laboratori di esperienze e progetti. Trasformare Genova in una Città per Giovani, questa, secondo me, è la sfida da vincere.

 

 

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