Biodiversità, parchi, borghi: un'intervista
Mancano pochi giorni al primo evento del progetto "I mille volti della biodiversità. Natura, architetture, ecosistemi culturali" (GAM di Genova Nervi, 27 maggio dalle 16.30), organizzato dal Comune di Genova in sinergia con l'associazione no profit "Genova World", e col sostegno di COOP Liguria ed Iren. In programma quel giorno Francesca Serrati ("Biodiversità culturale. Il Monte di Portofino attraverso gli occhi degli artisti"), Daniele Buschiazzo ("Sostenibilità, best practice quotidiana") e Umberto Curti ("Viaggi verdi. Biodiversità e diacronie dal Nuovo Mondo all'Europa"). Modererà Luisa Puppo.
Per questo nostro blog, nel frattempo, Umberto Curti intervista gli altri 2 protagonisti della giornata (nei prossimi giorni l'intervista a Francesca Serrati).
Daniele Buschiazzo è sindaco di Sassello (SV) e presidente dell'Ente parco Beigua.
D. Caro Daniele (mi permetto di
confermare il “tu” anche online, vista la cordialità che da tempo caratterizza
il nostro rapporto), i luoghi in cui vivi e in cui ricopri cariche
istituzionali sono “pagine” aperte e quotidiane di biodiversità. “Wildlife stays,
wildlife pays”, si suol dire da parte di alcuni (ed io fra costoro). Cosa pensi
di questo detto?
R. Credo che oggi più che mai sia vero. Dopo due
anni di epidemia Covid-19 ritengo che tutti abbiano capito quanto importante sia
l'ambiente e quanto sia importante sentirsi parte di esso (e non sopra). Da
questa riscoperta, sono convinto che si possa fare anche economia in maniera
redditizia. Faccio un esempio concreto "banale": nella Central Valley in
California hanno capito che i mandorleti vicini ad una parte incolta
erano maggiormente frequentati da api selvatiche e quindi, con una maggior
impollinazione, più produttivi dei terreni a monocultura. Certe rinunce al
dogma della produttività in certi casi non sono propriamente rinunce.
D. Viviamo stagioni complesse,
reduci come siamo anche da una pandemia che esplose quanto mai inattesa, e
impattò (impatta) anche sulle nostre quotidianità socioeconomiche, lavorative,
affettive…. Dal tuo duplice punto di osservazione, cosa auspichi come eredità
di quest’esperienza?
R. Auspico un rapporto egualitario fra genere
umano e ambiente. Se la specie umana si sentirà una specie fra le specie, immersa in un ambiente che consente a tutti di vivere e procreare, e non una
specie sovrana, allora avremo imparato la lezione fondamentale di questi due
anni di covid. Purtroppo, il 2022 non ci ha dato finora buoni segnali in questo
senso.
D. Non leggere in questa domanda un
contenuto tendenzioso che non ha (l’avesse, lo espliciterei in modo diretto): a
che serve oggi un Ente Parco?
R. Un Ente Parco, innanzitutto, deve ottemperare
alla sua missione: conservare l'ambiente. Questa è la missione con cui sono
nati i Parchi. Se l'obiettivo rimane quello da 150 anni, i mezzi per conseguirlo cambiano. Abbiamo capito che nei luoghi dove l'interazione fra uomo e ambiente è
paritaria, lo sviluppo economico mantiene e crea biodiversità. Un pascolo ben
gestito, una coltivazione di qualità non intensiva, oltre a fare reddito
contribuiscono ad accrescere i valori ambientali di quel luogo. Inoltre,
proprio per questa ragione, i Parchi devono essere considerati dei laboratori
dove sperimentare queste interazioni favorevoli fra uomo e ambiente, dove
studiare i servizi ecosistemici per poi esportarli in altri territori. I Parchi
oggi dovrebbero essere considerati delle avanguardie, ma non sempre è così.
D. In questi giorni ricorrono la
giornata del miele, quella delle api, quella della diversità culturale… Se tu
dovessi raccontare ad un ospite il genius loci di Sassello, borgo di cui sei
Sindaco, da dove cominceresti? Quali tracce condivideresti per prime?
R. Sassello è un luogo dove l'interazione uomo e
ambiente, natura e cultura, è sempre stata virtuosa. E' la dimostrazione di come si
possa fare economia con l'ambiente e non sfruttandolo. In cento
chilometri quadrati abbiamo una varietà di ambienti e di prodotti alimentari
incredibile. Noi la nostra transizione ecologica l'abbiamo già fatta da molto
tempo.
D. Fra le molte cose che per lavoro via via incontro, mi ha colpito
qualche anno fa la teoria della retroinnovazione, della sociologa olandese
Marian Stuiver, secondo cui la salvaguardia non osta al cambiamento, e la
tradizione deve procedere “innovativamente”, armonizzando i valori del passato
e i trend contemporanei, per orientare non traumaticamente lo sviluppo futuro,
piantando semi di conoscenza… Vorrei conoscere il tuo pensiero in proposito
R. La teoria della
retroinnovazione è quel che Sassello è stato fino ad oggi. Un luogo che non
ha mai rinnegato le proprie radici ma che ha sempre saputo reinventarsi ed
evolversi. Spesso dico che Sassello è un esempio di rigenerazione industriale
ante litteram. Nel '600 a Sassello lavoravano sette ferriere. Quando, a metà
del 1800, Cavour abolì i dazi sul ferro proveniente dalla Gran Bretagna questa economia morì. Nel 1860 da una ricetta casalinga di Gertrude Dania nacque
l'amaretto morbido di Sassello e di lì si sviluppò una prima fabbrica. Oggi
sono varie aziende e un numero di
lavoratori che si avvicina ai 200 per un paese di 1.770 abitanti.
D. Come sai (ne parlammo davanti a
un caffè), adoro leggere Paolo Cognetti, Annibale Salsa, Paolo Rumiz… Tu stesso
parli di sostenibilità come di best practice quotidiana… Un altro mondo è
possibile? Su quali valori, nella tua visione, anche le giovani generazioni
dovranno prioritariamente impegnarsi?
R. Un altro mondo, un altro modo di concepire lo
sviluppo, deve essere possibile perché le risorse del pianeta non sono
infinite. Tuttavia, ogni volta che si pone il problema spostiamo un po' più in
là il termine per fare azioni concrete che vadano nella giusta direzione.
Abbiamo problemi per l'approvvigionamento di gas? La transizione non può essere
il carbone. La peste suina africana ci dice che un certo modello di sviluppo
che segua solo il mercato e la quantità non è più possibile? Non possiamo
sterminare tutti i piccoli allevamenti di qualità per mantenere la suinicoltura
industriale che magari importa anche da Paesi dove i controlli sanitari non
sono così rigorosi... Forse quello che dobbiamo insegnare alle nuove generazioni
è il valore del sacrificio che sta sicuramente dietro la retroinnovazione.
Perché per mantenere la tradizione, innovandola, bisogna fare dei sacrifici.
Grazie infinite del tuo tempo, Daniele, e delle tue parole sempre ricche di engagement. Arrivederci a venerdì 27.
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