Cibo fra le onde, una ristoratrice racconta (parte 2)
Acciughe impanate per la frittura |
Ringrazio, per i cortesissimi chiarimenti, il Primo Maresciallo Alessandro Folliero, Ispettore europeo della pesca della Capitaneria di porto di Genova.
A questo link la "puntata" n. 1
Ma cosa qualifica agli
occhi del consumatore il pesce come “fresco o non fresco” o, perlomeno, cosa lo
conferma “fresco” in quanto tale e soprattutto: quale durata ha...questa qualità?
Non posso non pensare al
grado di verginità dell’E.V.O, dichiarato sulla confezione: un dato che, di
fatto, ha valore solo all’atto del confezionamento e in determinati contesti di
conservazione poiché il contenuto della bottiglia, appartenente alla partita
etichettata come extravergine a ridosso della spremitura (rivelatore ne fu il
grado di acidità), se è poi stato esposto al sole o conservato in ambiente
caldo o comunque non idoneo, sottoposto a nuove analisi non risulterà più
extravergine ma, nella migliore delle ipotesi, vergine (ovvero con un’acidità
maggiorata).
Ecco, nel caso del pesce
il discrimine è simile, ma enormemente più “rapido”: portatore peraltro di una
concreta tossicità (non soltanto di decadimento organolettico) e, per giunta,
in parte...non codificato.
Mi spiego meglio: fino a
quanto tempo può protrarsi la commestibilità di un pesce, secondo i parametri
della Asl? E, una volta stabilito questo range, che molto genericamente può andare
da un minimo di 3 (penso ad una triglia) ad un massimo di 10 giorni (un tonno),
esiste una discriminante di base tra il comune avventore privato, che vada al
supermercato o dal pescivendolo di fiducia a comprare un trancio per cucinarlo e consumarlo in giornata, e il
ristoratore, che si “impegna” ad un prodotto che deve avere una effettiva
durata, dal momento dell’acquisto?
Il ristoratore non può infatti
sapere con esattezza quando il cliente lo consumerà dal momento dell’approvvigionamento:
da qui, l’importanza della rotazione di acquisti mirati, piccole quantità
rinnovate di giorno in giorno, calibrate sull’effettiva richiesta...
Ma questo, come si può facilmente
comprendere, non va di pari passo con l’economicità, perché se si acquista un
quantitativo minimo di pesce, un giorno dopo l’altro, questo avrà un costo
senza dubbio maggiore di una grossa partita (che tuttavia non si sa se, e
quando, verrà consumata in tempo utile, evitando sprechi).
Come intuibile, occorre
quindi che un ristoratore riconosca la freschezza
del pesce nell’atto dell’acquisto, che è ben diversa dalla commestibilità in un determinato momento e che resta, e deve restare,
una condicio sine qua non, pena la
decurtazione dalla lista di un determinato fornitore e in ultimo…del
ristoratore stesso.
Ma in un mondo fatto di
tracciamenti e di certificazioni in etichetta, come avere la garanzia che un
pesce, appena acquistato dal fornitore, sia realmente fresco? Esiste una
certificazione, deducibile dalla tracciabilità, che ci dica
effettivamente...quando è stato pescato?
Di fatto, dall’etichetta
esposta sul bancone o in fattura si può conoscere la filiera di una determinata
partita, vale a dire il lotto e la provenienza ma…dove è scritta la data di cattura?
Per rispondere con
puntualità normativa a questa domanda, tanto importante anche per i lettori di
“Genova World”, mi sono rivolta alla disponibilità del gentilissimo ed esaustivo
Primo Maresciallo Alessandro Folliero, Ispettore Europeo della pesca della
Capitaneria di Porto di Genova, che ringrazio e col quale ho avuto due brevi,
nonché illuminanti, colloqui telefonici.
Grazie a cui ho avuto
conferma che - escludendo i molluschi bivalvi e i molluschi gasteropodi (quando
commercializzati vivi) che presentano nell’etichetta all’interno della retina la
data di imballaggio - nella normativa, non solo italiana ma europea e
tendenzialmente anche mondiale, attraverso il numero di lotto la Asl può identificare,
tramite la Capitaneria, il peschereccio e la data di sbarco ma non…quella di
cattura o morte del pesce.
I principi di
tracciabilità e i dati obbligatori che devono essere dichiarati nel merito,
sottolinea Folliero, dipendono dalle tipologie di pesce: per alcune, ad esempio
quelle facenti capo a grosse partite soggette a stock, vige effettivamente
l’obbligo di annotare sul giornale di pesca data e zona di mare dove è avvenuta
la cattura che, in ogni caso, dovrebbe risultare sulla documentazione commerciale
in possesso dei vari soggetti che ne hanno eseguito la vendita. Per tutti i
restanti casi, oltre a quello ora accennato, tali principi sono normati
dall’Art. 67 CE 404 del 2001 e dall’Art 58 del regolamento CE 1224 del 2009.
Dunque, per venire al nocciolo,
esistono diverse variabili in gioco: la data della fattura di acquisto del
pesce, che non coincide quasi mai con la data di sbarco del peschereccio, che
non coincide necessariamente con la data di morte del pesce, la quale a sua
volta, non coincide necessariamente con quella di cattura.
La ratio sottesa alla
norma, evidentemente, è che la data di cattura, e/o il tempo trascorso dopo la
morte, non siano le uniche discriminanti per il grado di freschezza del pesce,
mentre lo sono, di gran lunga, la modalità e la temperatura di conservazione,
oltre al mantenimento costante della catena del freddo.
A questo link la "puntata" n. 3.
Redazione di "Genova World"
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