Cibo fra le onde, una ristoratrice racconta (parte 3)
sgombri con pesto, un'idea di Umberto Curti per la ristorazione |
A questo link la "puntata" n.1, da cui lanciare anche la 2
E qui entra in ballo
l’HACCP, una conferma che, dalla
cattura fino al suo utilizzo alimentare, il pesce fresco deve essere necessariamente refrigerato. Ma...a quali temperature?
La norma, chiarisce Alessandro
Folliero, Primo Maresciallo e Ispettore Europeo della pesca della Capitaneria
di Porto di Genova, prevede la conservazione ad una temperatura vicina al
“ghiaccio in fusione” di 0°C, generalmente quindi la conservazione avviene tra
0° e i +4°C.
All’interno di questo
range, tenendo conto della potenziale escursione termica del frigo di un
ristorante, continuamente aperto e richiuso in un ambiente - la cucina - di per sé tendenzialmente caldo, si comprende
perché le scuole più scrupolose suggeriscano, dato che la conservazione del pescato nel ghiaccio a 0°C (costante) non altera la sua
composizione per circa 4-7 giorni, di
impostare e mantenere cautelativamente la temperatura poco sopra lo zero, a +1° o +2°C.
I crostacei (gamberi, astici e aragoste) se freschi e non surgelati o
abbattuti vanno acquistati preferibilmente ancora vivi in quanto, al
sopraggiungere della morte, si avvia rapidamente il processo di decomposizione,
ergo il progressivo disfacimento della polpa: devono essere conservati in frigo
a 0°C, e non per più di 3 giorni: non è corretto, malgrado si trovi spesso consigliato
anche sul web, ricoprirli con uno straccio umido, che può causare indesiderata
proliferazione batterica.
Per i molluschi, invece, occorre distinguere tra i cefalopodi (polpo, totani e seppie) e i bivalvi e i gasteropodi (dotati
rispettivamente di guscio esterno doppio o singolo), ovvero le coquilles (muscoli, vongole, ostriche,
capesante, canestrelli etc.). I cefalopodi
possono essere conservati tra 0° e +2° C, per non più di 3 o 4 giorni. Vero è, però, che bivalvi
e gasteropodi, unitamente ai prodotti
della pesca che devono essere vivi fino alla cottura (generalmente crostacei:
un astice o una aragosta), richiedono una temperatura media più alta: secondo
alcuni attorno ai +4°C, secondo altri +6°
C (qualcuno propone perfino +8°C), e possono essere conservati fino a 5 giorni,
ma è preferibile consumarli entro 3.
La norma - chiarisce
Folliero - prescrive che i prodotti della pesca da mantener vivi (e non commercializzati morti, come suole comunemente accadere nel caso,
per esempio, delle capesante o dei canestrelli) devono essere mantenuti
a una temperatura e in condizioni che non pregiudichino la sicurezza alimentare
o la loro vitalità, senza specificare altro: esiste un decreto ministeriale che
prevede, solo per i bivalvi vivi, una temperatura compresa tra +4 e +6°C.
Anche nel caso dei
bivalvi, per le medesime ragioni dei crostacei, è sconsigliato avvolgerli
dentro lo straccio umido: la stretta che impedisce al mollusco di aprirsi e
perdere i liquidi è comunque garantita dalla retina che li confeziona.
Va da sé che, per una
corretta gestione di tali tipologie, un ristorante dovrebbe essere dotato,
avendone lo spazio e una capacità di consumo che giustifichi l’investimento (in
tempo di COVID sempre più critica), di almeno due frigoriferi dedicati: uno per
il pescato “morto”, l’altro per molluschi e crostacei da mantenere “vivi” il
più a lungo possibile. Ma, nel caso più frequente di un solo frigorifero (sempre
rigorosamente dedicato al pesce), nel caso sia a gradiente (e non statico, né
ventilato, tipologie che presuppongono temperature uniformi ), è possibile riporre
questi ultimi nella parte più alta, generalmente la meno fredda.
Comunemente, per la
pratica domestica, si dice al consumatore che il pesce fresco va consumato
entro le 24 ore ma che, in generale, conservato in frigo dura (senza specificarne la temperatura) 1-2 giorni: si dice che si può
conservare nello scomparto più freddo, dentro un contenitore chiuso o coperto
con pellicola per alimenti, sia per evitare la disidratazione (nel caso di
frigoriferi ventilati) sia per evitare di trasmettere l'odore di pesce ad altri alimenti: aggiungono
alcuni che, una volta cotto, può essere conservato per altri 3/4 giorni.
Ora, riferendomi al mondo
della ristorazione (e non a quello casalingo), io non credo che sia
contemplata, al momento (escludendo il polpo o i bivalvi o un pesce osseo
lessato per alcune lavorazioni), la possibilità di conservare un pesce cotto
alla griglia o al forno, ancorché si tratti di cottura ultimata sottovuoto: e
ciò per una questione organolettica, legata alla consistenza della fibra.
Possibile invece, per
pesci a trancio quali salmone, tonno o pesce spada, una semi-cottura
sottovuoto, con successivo abbattimento e quindi rigenerazione, per velocizzare
i tempi di servizio, garantendo nel contempo freschezza e qualità.
Per il pesce non cotto,
l’ulteriore cautela del confezionamento sottovuoto
a crudo, con mantenimento della catena del freddo in frigo, indubbiamente
aumenta la shelf life di almeno 3-4 giorni.
Il pesce abbattuto o
surgelato, invece, una volta scongelato
- obbligatoriamente non a temperatura ambiente, per evitare lo shock termico,
ma rigorosamente in frigo (solo il pesce surgelato industrialmente e
confezionato in involucri singoli di plastica può essere scongelato in acqua
fresca corrente, ma solo all’interno della sua originaria confezione in
plastica) - va consumato subito o, al massimo, entro 24 ore.
Redazione di Genova World
A questo link la "puntata" n. 4
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