Cibo fra le onde. Una ristoratrice racconta (parte 5)

A questo link la "puntata" n. 1, da cui lanciare anche le successive. 


Ma, dopo aver proposto una veloce panoramica delle sommarie differenze fra i vari metodi di conservazione, vediamo ora 
sul peschereccio cosa succede al pesce selvaggio, e non di allevamento.
Il Primo Maresciallo Alessandro Folliero, Ispettore Europeo della pesca della Capitaneria di Porto di Genova, spiega che le battute di pesca durano mediamente un giorno (come nel caso delle acciughe) ma possono arrivare talvolta persino a 7 (come nel caso del tonno). Il tonno appena sbarcato, quindi, generalmente ha già una settimana: a conferma che, per norma, la freschezza di un pesce non dipende solo dalla data di cattura ma anche, e soprattutto, dalla modalità di conservazione e dal relativo mantenimento della catena del freddo.


Questo fattore, tuttavia, a nostro avviso rende pienamente ragione del fatto per cui, come noto, sia ritenuto abbastanza rischioso acquistare e consumare tonno fresco, e ci fa comprendere per quale ragione, comunemente, i fornitori di qualità preferiscano commercializzare i filetti di tonno già abbattuti direttamente sul peschereccio.
Un altro fattore discriminante, evidenziato dall’esperto, è l’incidenza della traumaticità della pesca sulla sua durata: un pesce pescato con l’amo (trattandosi di ristorazione ci stiamo riferendo a pesca professionale, autorizzata, e non amatoriale), tecnica che si riserva a taglie generalmente più grandi e da cui deriva un pescato necessariamente meno economico di quello catturato con le reti, ha subito un trauma sicuramente inferiore a quello di certa pesca a strascico, in cui enormi – pesanti - quantitativi di pescato restano accatastati per ore, gli uni sugli altri, con conseguente stress sia per le delicate viscere che per le fibre.
Questo fattore, peraltro, è particolarmente decisivo nel caso delle acciughe che, già di per sé delicatissime, richiedono proprio in forza di ciò una più attenta osservanza del mantenimento della catena del freddo.
Ma come non pensare, ancora una volta, all’analogia con l’olio e le olive che, quanto più copiose ed accatastate in abbondanza, le une sopra le altre, in attesa di essere portate al frantoio, tanto meno forniranno un olio di pregio?
E’ pacifico che, nel caso delle olive, entriamo nell’ambito delle indesiderate fermentazioni, che certamente esulano dalle peculiarità dal pesce, ma l’origine di questa criticità di tipo meccanico (lo stress) resta la medesima: con tutte le sue eventuali ricadute.
Il pesce, analogamente ad ortaggi, frutta e verdura, è un alimento facilmente deperibile e il suo stato di conservazione è ben visibile anche a occhio nudo: potrebbe essere qui che, sulla base di questo, si “giustifichi” il relativo vuoto normativo circa le effettive “date” di scadenza, ma queste restano per ora solo supposizioni, la parola spetterebbe al legislatore...
A differenza degli ortaggi, però, nel caso del pesce, dei molluschi e dei crostacei non abbiamo in gioco solo disidratazione o perdita di potere vitaminico, ma decadimento di proteine animali, cosa che, sul piano clinico, è assai più rilevante.
A questo link la "puntata successiva"
Redazione di Genova World

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