Cibo fra le onde. Una ristoratrice racconta (parte 6)

 


A questo link la "puntata" n. 1, da cui lanciare anche le successive

Concludendo, il consumatore può conoscere dall’etichetta la filiera, il lotto e la provenienza di una determinata partita, ma di fatto, per riconoscere un pesce fresco da uno che non lo è (nel gergo si dice “stanco”) l’esame visivo, tattile e olfattivo resta fondamentale: proprio come nella tecnica della sommellerie del vino.
Iniziamo a parlare quindi dell’ultimo, l’olfatto, e sfatiamo il luogo comune di chi crede di non amare il pesce perché “puzza”, ovvero…perché lo ha sempre consumato non fresco!
Il pesce, quando è fresco, non puzza ma profuma, e profuma esattamente del luogo da cui proviene: nel nostro caso…dal mare!
E se, entrando in pescheria cosi come salendo sulla barca di un pescatore, qualche volta si avverte “odore persistente di pesce” (che è ben riconoscibile e, comunque, ben diverso dalla puzza), questo dipende unicamente dai viscosi succhi organici proteici che, caduti incidentalmente, si siano momentaneamente depositati sulla superficie, prima della pulitura giornaliera del piano di lavoro o del pavimento: non già dalla qualità intrinseca della partita.
Quando, invece, annusando il pesce si avverte un odore forte, sgradevole e troppo intenso, questo significa, semplicemente, che quel pesce...non è più fresco!
Dobbiamo quindi essere riconoscenti alla “puzza” del pesce perché indica implicitamente, alla nostra animalità olfattiva, il grado di freschezza di ciò che ci apprestiamo a mangiare, eventualmente sconsigliandocelo; e se il nostro olfatto, relativamente a questa caratteristica, è cosi sviluppato da sconsigliarcene istintivamente l’utilizzo, già da questo deduciamo il rischio di un’intossicazione istaminica da pesce non fresco.
D’altra parte, agli antipodi di ciò, bisogna sfatare un mito, quello della “sindrome popolare” del “pesce appena estratto dalla rete”: se il pesce non riposa almeno 3-4 ore dopo la morte, il suo corpo si imbarca durante la cottura, rendendola difficoltosa (e penalizzando la presentazione); e, nel caso di lavorazioni con pesce crudo, le carni non si staccano dalla lisca: mi riferisco, per esempio, alle acciughe, che, aperte e diliscate, debbono essere sottoposte ad abbattimento, per poter essere, a distanza di almeno 48 ore, marinate.
Ma passiamo all’esame visivo: un pesce fresco deve essere rigido, turgido, privo di macchie opache (potrebbero esser indice di mancata freschezza), e lucente quasi come un metallo, scivoloso al tatto, quasi imprendibile fra le mani perché pervaso da una misteriosa pellicola (da non confondere con il lattiginoso, che potrebbe invece segnalare un principio di marcescenza!), come fosse un gel creato fra mare e squame le quali, intatte, devono essere bene aderenti alla superficie del corpo e non sollevate, e l’occhio...l’occhio deve essere chiaro, limpido e mai opaco, vivido, turgido, non affossato ma solo con un lieve accenno di sporgenza, senza mai tuttavia uscire dalle orbite…né deve essere arrossato.
Le branchie dovrebbero essere sempre di un colore vivo e apparire ancora umide: mai secche o tendenti a colori più bruni né, tantomeno, circondate da un'acqua un po' lattiginosa, indice, come si è detto, di marcescenza.
Dal punto di vista tattile, infine, premendo sulla carne, cosa che in tempo di Covid difficilmente sarà consentita dal rivenditore ma che si può effettuare in proprio a conferma della qualità dell’acquisto appena effettuato, l'impronta del dito dovrebbe scomparire in fretta e la carne apparire soda e compatta.
Nel caso di un pesce già sfilettato, le carni devono essere sode e presentare un colore acceso e vivo, ma è chiaro che, in questo caso, gli indizi di freschezza, in assenza della restante parte del pesce, restano comunque parziali: il problema non si pone tuttavia per il ristoratore, dato che, generalmente, acquista pesce intero.
Per quel che riguarda i crostacei, l’aspetto generale, al solito, deve essere brillante e vivace, l’occhio nero e luccicante, i muscoli rigidi e l’odore appena accennato: non devono presentare membrana addominale verdastra, occhi opachi o appannati, muscolatura rilassata o odore accentuato.
Tra i molluschi, i cefalopodi devono avere colore bianco e lucido (mai giallastro e opaco), occhi brillanti, carni e tentacoli sodi (e non rilassati e molli) e odore appena accennato.
I bivalvi non devono presentarsi aperti (se aperti devono avere il mollusco vivo all’interno, che si richiuderà spontaneamente al tatto), né aprirsi facilmente presentando all’interno un corpo morto e molle, ma dovranno essere ben chiusi e avere un peso consistente rispetto al volume, a prova che il guscio sia pieno di liquido all’interno: diventa infatti leggero quando ne è privo e quando il mollusco è morto da tempo.
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Redazione di Genova World

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